Dimmela con chi te la fai e ti dirò chi sei
L'amico E. sollevava una questione ieri sera: come mai ci ritroviamo tra di noi, cosa ha creato il nostro gruppo di amici e -finalmente- come mai scegliamo di stare con certe persone piuttosto che con altre. Le affinità elettive, insomma.
Certo, in ognuno c'è qualcosa di positivo e di negativo secondo il nostro criterio di valutazione. Quando scegliamo di stare con qualcuno, di frequentarlo e di aprirci a lui, lo facciamo dopo una scelta ben precisa, per cosciente o incosciente che sia.
La scelta non si basa su criteri universalmente riconosciuti, ma generalmente riconosciuto e accettato nel nostro intorno. Per esempio, una persona spietata potrebbe essere ben vista in una società che si basa sull'assassinio e l'estorsione, ma è valutata negativamente in un gruppo essenzialmente onesto, che cercherà aspetti più tranquillizzanti, atti a fondare le basi di un rapporto di fiducia reciproca.
I criteri che usiamo sono quindi dettati dalla nostra educazione e dalla società. Fin qui nulla di nuovo.
Mi si è accesa una lampadina, invece, perché mi sono reso conto che il mio gruppo di adesso, a Barcellona, è quasi tutta gente che normalmente non si frequenterebbe. Allora perché ce la facciamo assieme e ci cerchiamo sempre? Per abitudine?
Non credo.
L'abitudine di vivere in società popolose ci ha dato due strumenti (che sembrano perfetti se usati assieme): la necessità di stare in compagnia e la facoltà di adattarci.
Cercare qualcuno con cui stare è un istinto abbastanza basico della sopravvivenza, anche nel mondo contemporaneo, dove unirsi per condividere un affitto -per esempio- è assolutamente necessario per vivere in città.
La capacità di accettare persone diverse da noi dipende invece da un complesso sistema di valutazione dell'altro, di come ci formiamo una immagine mentale.
Certo, soppesiamo gli aspetti positivi e gli aspetti negativi, con la formula generale: (aspetti_positivi > aspetti_negativi), nel nostro sistema di credenze. Questo nostro insieme di aspetti che riteniamo importanti nel carattere ci descrive alla stessa maniera: "Gli aucielli s'apparano in cielo e le chiaviche 'n'terra", dice un saggio proverbio. Ma tutto questo è influenzato da altri fattori che la nostra mera capacità di valutazione. Per esempio entra in gioco la forma che abbiamo di vivere in gruppo: E. non sopporta A., però alla fine stiamo/stanno spesso assieme; questo avviene perché il fattore esterno "A. è amico dei miei amici e quindi, per evitare scontri, lo sopporto" è più importante della naturale propensione all'evitarsi.
Si potrebbe mettere in equazione la capacità di sopportazione riguardo a una persona che in un ambiente neutro non ci attrarrebbe (e quindi sarebbe persino difficile avvicinarsi per conoscersi bene), in funzione di quanto la valutiamo rispetto ai nostri doveri verso l'"esterno" (inteso come "amici, obblighi sociali, opportunità"). Semplicemente sarebbe (aspetti_positivi + sopportazione > aspetti_negativi).
Per riprendere il proverbio di prima, è sempre valida la conservazione del carattere attraverso gli amici:
Certo, in ognuno c'è qualcosa di positivo e di negativo secondo il nostro criterio di valutazione. Quando scegliamo di stare con qualcuno, di frequentarlo e di aprirci a lui, lo facciamo dopo una scelta ben precisa, per cosciente o incosciente che sia.
La scelta non si basa su criteri universalmente riconosciuti, ma generalmente riconosciuto e accettato nel nostro intorno. Per esempio, una persona spietata potrebbe essere ben vista in una società che si basa sull'assassinio e l'estorsione, ma è valutata negativamente in un gruppo essenzialmente onesto, che cercherà aspetti più tranquillizzanti, atti a fondare le basi di un rapporto di fiducia reciproca.
I criteri che usiamo sono quindi dettati dalla nostra educazione e dalla società. Fin qui nulla di nuovo.
Mi si è accesa una lampadina, invece, perché mi sono reso conto che il mio gruppo di adesso, a Barcellona, è quasi tutta gente che normalmente non si frequenterebbe. Allora perché ce la facciamo assieme e ci cerchiamo sempre? Per abitudine?
Non credo.
L'abitudine di vivere in società popolose ci ha dato due strumenti (che sembrano perfetti se usati assieme): la necessità di stare in compagnia e la facoltà di adattarci.
Cercare qualcuno con cui stare è un istinto abbastanza basico della sopravvivenza, anche nel mondo contemporaneo, dove unirsi per condividere un affitto -per esempio- è assolutamente necessario per vivere in città.
La capacità di accettare persone diverse da noi dipende invece da un complesso sistema di valutazione dell'altro, di come ci formiamo una immagine mentale.
Certo, soppesiamo gli aspetti positivi e gli aspetti negativi, con la formula generale: (aspetti_positivi > aspetti_negativi), nel nostro sistema di credenze. Questo nostro insieme di aspetti che riteniamo importanti nel carattere ci descrive alla stessa maniera: "Gli aucielli s'apparano in cielo e le chiaviche 'n'terra", dice un saggio proverbio. Ma tutto questo è influenzato da altri fattori che la nostra mera capacità di valutazione. Per esempio entra in gioco la forma che abbiamo di vivere in gruppo: E. non sopporta A., però alla fine stiamo/stanno spesso assieme; questo avviene perché il fattore esterno "A. è amico dei miei amici e quindi, per evitare scontri, lo sopporto" è più importante della naturale propensione all'evitarsi.
Si potrebbe mettere in equazione la capacità di sopportazione riguardo a una persona che in un ambiente neutro non ci attrarrebbe (e quindi sarebbe persino difficile avvicinarsi per conoscersi bene), in funzione di quanto la valutiamo rispetto ai nostri doveri verso l'"esterno" (inteso come "amici, obblighi sociali, opportunità"). Semplicemente sarebbe (aspetti_positivi + sopportazione > aspetti_negativi).
Per riprendere il proverbio di prima, è sempre valida la conservazione del carattere attraverso gli amici:
miei_aspetti_positivi = amico_aspetti_positivi + delta
ossia
mio_chiavicume = amico_chiavicume + delta
dove delta è una costante dovuta alle variazioni genetiche tra gli individui.ossia
mio_chiavicume = amico_chiavicume + delta
Si potrebbe fantasticare sulla proprietà transitiva, ma è più saggio riservasi per un post futuro...
2 commenti:
due commenti:
- cosa intendi per "gente che normalmente non si frequenterebbe"? visto che vivi a barcelona da due anni, cosa intendi per "normalità"??
- visto che ti ostini a non frequentarmi devo essere proprio mala mala mala!!!
p.s: bentornato!
Uè, buongiorno! :)
"normalmente non si frequenterebbe": vuol dire che ci siamo ritrovati simili solo per caso. Se ci fossimo incontrati nel nostro ambiente naturale: Napoli, Istambul o anche Barcellona pochi anni fa, credo che ognuno avrebbe seguito le sue propensioni passivamente, ignorandosi.
Per quanto è viaggiare, riparto oggi nel primo pom, torno mercoledì e riparto venerdì. Difficile persino organizzare un caffè nel mezzo... però ti devo presentare alcuni nuovi acquisti!
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