Turbolenze
Due volte ho veramente temuto per la mia vita. In entrambe le situazioni, mi sono sorpreso della mia reazione. A dire il vero, c'è anche una terza volta, ma lì piuttosto non temevo per la mia vita e quindi non conta.
La prima volta mi ero aricettato per la via, non chiedete il perché: chi lo sa, già lo sa. Avevo perso conoscenza, ero caduto, svenuto. Quando ho aperto gli occhi c'era una folla di gente appresso a me che mi facevano domande idiote, del tipo qual'era il mio nome (solo anni dopo ho letto in un libro che quella è la prima domanda che si fa per capire se uno ha piena coscienza di sé, per valutare eventuali danni cerebrali o giù di lì). Comunque l'infermiera del luogo, con tanto di camice bianco, mi tasta il polso e dice: "Tu non hai polso, non lo sento". Ci mancava solo quella! Nel frattempo mi si stava appannando di nuovo la vista, tutto stava prendendo un bel colore latteo ed io penso: "Ecco, ci siamo, non ho polso e vedo la luce: sono morto. Dite a Pg che non posso finire i test..." Queste sarebbero state le mie ultime parole. Un pensiero affettuoso rivolto al mio relatore.
Nei film gli eroi generalmente dicono frasi eroiche o che colpiscono per i forti sentimenti che esprimono. L'ultimo pensiero si rivolge alla mamma, alla donna della propria vita (nel caso non sia quella appena menzionata), a un ideale. Ho avuto modo di riflettere sul quanto poco implicavano le mie ultime parole di quel giorno. Certo, era importante e stavamo scrivendo un articolo, però veramente non avevo nulla di migliore da esprimere?
Oggi, scendendo sul Golfo di Napoli, l'aereo è stato preso da un forte vento. Sballottava a destra e sinistra, i passeggeri si tenevano stretti stretti alle loro poltrone, i bimbi piangevano. Ce la siamo vista proprio brutta, tant'è che all'inizio delle turbolenze, ho spento e sistemato il computer. La situazione è peggiorata tant'è che se non ho sentito nessuno recitare preghiere, sicuramente c'era chi lo faceva. Ho iniziato a tenermi ai braccioli pure io e a cercare di respirare lentamente. Immediatamente mi è balenato un pensiero, nella certezza che da lì a poco ci saremmo schiantati in mare. "Peccato che non ho fatto check in..." (mi riferisco al CVS, ossia alla salvaguardia degli archivi sui quali stavo lavorando).
Un'altra volta ho mancato il mio momento di pura poesia! Avrei potuto pensare: "Dite a M. che la amo" (la maggiorparte delle mie ex inizia per M., quindi non creerò gelosie); oppure avrei potuto esclamare il nome di un'altra donna. Qualcosa di più sentito insomma!
Siamo scivolati su Napoli, saltando e ballando, facendo il pelo alle antenne dei palazzi. Quando l'aereo si è posato sulla pista, con mia grande soddisfazione, nessuno ha applaudito.
La prima volta mi ero aricettato per la via, non chiedete il perché: chi lo sa, già lo sa. Avevo perso conoscenza, ero caduto, svenuto. Quando ho aperto gli occhi c'era una folla di gente appresso a me che mi facevano domande idiote, del tipo qual'era il mio nome (solo anni dopo ho letto in un libro che quella è la prima domanda che si fa per capire se uno ha piena coscienza di sé, per valutare eventuali danni cerebrali o giù di lì). Comunque l'infermiera del luogo, con tanto di camice bianco, mi tasta il polso e dice: "Tu non hai polso, non lo sento". Ci mancava solo quella! Nel frattempo mi si stava appannando di nuovo la vista, tutto stava prendendo un bel colore latteo ed io penso: "Ecco, ci siamo, non ho polso e vedo la luce: sono morto. Dite a Pg che non posso finire i test..." Queste sarebbero state le mie ultime parole. Un pensiero affettuoso rivolto al mio relatore.
Nei film gli eroi generalmente dicono frasi eroiche o che colpiscono per i forti sentimenti che esprimono. L'ultimo pensiero si rivolge alla mamma, alla donna della propria vita (nel caso non sia quella appena menzionata), a un ideale. Ho avuto modo di riflettere sul quanto poco implicavano le mie ultime parole di quel giorno. Certo, era importante e stavamo scrivendo un articolo, però veramente non avevo nulla di migliore da esprimere?
Oggi, scendendo sul Golfo di Napoli, l'aereo è stato preso da un forte vento. Sballottava a destra e sinistra, i passeggeri si tenevano stretti stretti alle loro poltrone, i bimbi piangevano. Ce la siamo vista proprio brutta, tant'è che all'inizio delle turbolenze, ho spento e sistemato il computer. La situazione è peggiorata tant'è che se non ho sentito nessuno recitare preghiere, sicuramente c'era chi lo faceva. Ho iniziato a tenermi ai braccioli pure io e a cercare di respirare lentamente. Immediatamente mi è balenato un pensiero, nella certezza che da lì a poco ci saremmo schiantati in mare. "Peccato che non ho fatto check in..." (mi riferisco al CVS, ossia alla salvaguardia degli archivi sui quali stavo lavorando).
Un'altra volta ho mancato il mio momento di pura poesia! Avrei potuto pensare: "Dite a M. che la amo" (la maggiorparte delle mie ex inizia per M., quindi non creerò gelosie); oppure avrei potuto esclamare il nome di un'altra donna. Qualcosa di più sentito insomma!
Siamo scivolati su Napoli, saltando e ballando, facendo il pelo alle antenne dei palazzi. Quando l'aereo si è posato sulla pista, con mia grande soddisfazione, nessuno ha applaudito.
2 commenti:
Caro,
anche Mamma inizia con la "M"...
A proposito di cinismo.
Un bacio
ecché?! non ci avevo pensato secondo te? ;)
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