La scoperta dell'acqua calda
Stamattina è stata come un'illuminazione! Le difficoltà nel legare (in tutti i sensi) con la popolazione locale hanno una ragione e finalmente vi ho messo il dito sopra! (o almeno su parte di essa).
Stavo pensando di invitare a cena un paio di amici. Oddio, amici...
Stavo pensando di invitare a cena un paio di persone con le quali esco da più di un anno e con le quali -in teoria- dorei stare in confidenza. Poi ci ho ripensato: suonerebbe strano a loro e anche a me.
Il fatto non è che non siamo amici (andiamo d'accordo e ci fa piacere vederci -o almeno così pare), ma non stiamo in confidenza. Forse con Q. un poco, si, ma sicuramente non con V. Colpa mia che all'epoca non ci ho provato con determinata convinzione (tentare di sedurre una donna aiuta a rompere il ghiaccio... generalmente). Pensate che ho considerato una grande vittoria il fatto che lei si sia proposta di parlarmi catalano per farmi praticare! Ai nostri tempi o dalle nostre parti una grande vittoria sarebbe stata una cena a lume di candela o un invito a passare il weekend in campagna, con presentazione di tutta la famiglia che ti dice: "Ritorna quando vuoi, gli amici di nostra figlia sono sempre i benvenuti".
Che differenza!
Ecco, il punto è questo. Con tutta questa bella gente non abbiamo mai parlato di noi. Di noi stessi, intendo.
Sicuramente l'ho fatto io, nelle mie maniere contorte, ma anche scherzando oppure perché la mia vita è di dominio pubblico. Dall'altro lato, niente.
Non sto dicendo di "fare la cronaca" della propria vita, ma di discutere di sé ascoltando l'opinione dell'altro, mettersi sul tavolo insomma.
Dal momento dell'illuminazione non faccio altro che valutare i miei rapporti con le persone che ho conosciuto. Come mai sono amico dell'uno e non dell'altro? Cosa ci blocca?
Non so ancora dire se si tratta della causa o dell'effetto di un legame, il fatto di raccontarsi, ma sicuramente è parte integrante di un rapporto e dell'attrazione reciproca.
Con E.? Come mai ho un rapporto affettivo con lui visto che non parla? Vivendoci assieme non c'è bisogno di parlare... anche se a volte non guasterebbe. Siamo come parenti: viviamo assieme e leggiamo l'umore dell'altro tutti i giorni nei gesti e nelle parole.
Con A. siamo molto amici perché c'è un confronto quasi continuo, fatto di scherzi e altro. Un rapporto di amicizia normale.
Mi sento perfettamente a mio agio quando parlo con S. perché parla di sé. Caspita! Non è possibile che nell'aprirsi vi è la chiave di volta dei rapporti umani?!? Sembra essere la scoperta dell'acqua calda! Però è vero che con mia figlia non mi faccio più paranoie dal momento in cui i suoi racconti personali non si sono più limitati alla semplice cronaca.
Sento molto più vicina S. da quando l'ho vista sposarsi (lo ammetto, per anni non l'ho cacata nemmeno di striscio). [Che matrimonio ragazzi! Non pensavo di potermi emozionare, di poter essere triste e felice di vederla vestita di bianco, così bella. E poi tanta bella gente, la cerimonia molto curata, l'attenzione ai dettagli... Roma ora ha assunto un altro aspetto ai miei occhi.]
Sembra che i barbecue di gruppo hanno senso ora, che non siano solo un'abitudine goffa, di fantozziana memoria. Vero che si può offrire agli altri solo apparenza, lasciandosi scivolare addosso tutto quanto. Però i più non lo fanno ed è bene così.
L'affetto viene dal contemplare l'intimità dell'altro, le sue debolezze e sentirsene partecipe.
Una soluzione allora alle difficoltà di relazione potrebbe essere solo nell'abbassare lo shifgrethor e aspettarne le conseguenze.
Poi mi vengono in mente le parole di Barney Panovsky: "These meandering memoirs do have a point after all. Over the wating years I have levered free of many a tight spot leaning on a fulcrum of lies large, small, or medium-sized. Never tell the truth."
Stavo pensando di invitare a cena un paio di amici. Oddio, amici...
Stavo pensando di invitare a cena un paio di persone con le quali esco da più di un anno e con le quali -in teoria- dorei stare in confidenza. Poi ci ho ripensato: suonerebbe strano a loro e anche a me.
Il fatto non è che non siamo amici (andiamo d'accordo e ci fa piacere vederci -o almeno così pare), ma non stiamo in confidenza. Forse con Q. un poco, si, ma sicuramente non con V. Colpa mia che all'epoca non ci ho provato con determinata convinzione (tentare di sedurre una donna aiuta a rompere il ghiaccio... generalmente). Pensate che ho considerato una grande vittoria il fatto che lei si sia proposta di parlarmi catalano per farmi praticare! Ai nostri tempi o dalle nostre parti una grande vittoria sarebbe stata una cena a lume di candela o un invito a passare il weekend in campagna, con presentazione di tutta la famiglia che ti dice: "Ritorna quando vuoi, gli amici di nostra figlia sono sempre i benvenuti".
Che differenza!
Ecco, il punto è questo. Con tutta questa bella gente non abbiamo mai parlato di noi. Di noi stessi, intendo.
Sicuramente l'ho fatto io, nelle mie maniere contorte, ma anche scherzando oppure perché la mia vita è di dominio pubblico. Dall'altro lato, niente.
Non sto dicendo di "fare la cronaca" della propria vita, ma di discutere di sé ascoltando l'opinione dell'altro, mettersi sul tavolo insomma.
Dal momento dell'illuminazione non faccio altro che valutare i miei rapporti con le persone che ho conosciuto. Come mai sono amico dell'uno e non dell'altro? Cosa ci blocca?
Non so ancora dire se si tratta della causa o dell'effetto di un legame, il fatto di raccontarsi, ma sicuramente è parte integrante di un rapporto e dell'attrazione reciproca.
Con E.? Come mai ho un rapporto affettivo con lui visto che non parla? Vivendoci assieme non c'è bisogno di parlare... anche se a volte non guasterebbe. Siamo come parenti: viviamo assieme e leggiamo l'umore dell'altro tutti i giorni nei gesti e nelle parole.
Con A. siamo molto amici perché c'è un confronto quasi continuo, fatto di scherzi e altro. Un rapporto di amicizia normale.
Mi sento perfettamente a mio agio quando parlo con S. perché parla di sé. Caspita! Non è possibile che nell'aprirsi vi è la chiave di volta dei rapporti umani?!? Sembra essere la scoperta dell'acqua calda! Però è vero che con mia figlia non mi faccio più paranoie dal momento in cui i suoi racconti personali non si sono più limitati alla semplice cronaca.
Sento molto più vicina S. da quando l'ho vista sposarsi (lo ammetto, per anni non l'ho cacata nemmeno di striscio). [Che matrimonio ragazzi! Non pensavo di potermi emozionare, di poter essere triste e felice di vederla vestita di bianco, così bella. E poi tanta bella gente, la cerimonia molto curata, l'attenzione ai dettagli... Roma ora ha assunto un altro aspetto ai miei occhi.]
Sembra che i barbecue di gruppo hanno senso ora, che non siano solo un'abitudine goffa, di fantozziana memoria. Vero che si può offrire agli altri solo apparenza, lasciandosi scivolare addosso tutto quanto. Però i più non lo fanno ed è bene così.
L'affetto viene dal contemplare l'intimità dell'altro, le sue debolezze e sentirsene partecipe.
Una soluzione allora alle difficoltà di relazione potrebbe essere solo nell'abbassare lo shifgrethor e aspettarne le conseguenze.
Poi mi vengono in mente le parole di Barney Panovsky: "These meandering memoirs do have a point after all. Over the wating years I have levered free of many a tight spot leaning on a fulcrum of lies large, small, or medium-sized. Never tell the truth."