martedì, febbraio 26, 2008

Zp ganador (prima parte)

Ieri sera si è celebrato il primo dibattito elettorale televisivo tra i due candidati a premier. L'ho visto in compagnia di S., entrambi sui divani e con l'"ambasciata portoghese" che faceva festa sul divano affianco (ma per tutt'altri motivi).
Bisogna dire che di tali dibattiti, qui, se ne sono visti pochi: questo era il primo negli ultimi 8 anni. Certe lacune giornalistiche si sono notate.
Sorprendenti sono stati i commenti degli ospiti sul plateau nel post-dibattito. Per tutti (o quasi) sembrava avesse vinto Rajoy, il candidato post-franchista del PP. I direttori dei giornali, i politici, i giornalisti, tutti condividevano l'opinione che il candidato di destra avesse avuto più argomenti di Zapatero, che fosse stato più tagliente.

A me sembrava di vivere in una dimensione parallela! Avevamo assistito allo stesso dibattito tra gli stessi due candidati? Nel dibattito che avevo visto assieme a S., l'attuale primo ministro aveva difeso -bene- il suo mandato, numeri alla mano. Era stato più chiaro sui punti essenziali e non si era perso in appelli populisti (cosa che l'altro candidato ha fatto, raccontando una storia -tra l'altro confusa- di una bambina che doveva crescere in una Spagna libera --libera da cosa poi?). Il candidato dell'opposizione si era mostrato invece più agressivo per poi cadere di fronte ai fatti sgranati uno per uno da Zapatero, fin troppo calmo. Le accuse, per lo più infondate, non sono servite alla credibilità di Rajoy, che partiva già da un ritardo nei sondaggi. Parlando di sondaggi, a fine discussione è apparso quello su un campione di telespettatori. Il sondaggio dava vincente José Luis Rodríguez Zapatero per un buon 6%. La televisione (in questo caso credo fosse il terzo canale) ha peccato nell'invitare ospiti di parte e giornalisti non obiettivi. Tutta la succosa polemica che ci aspettavamo si è dissolta in un compromesso piatto e insipido tra ospiti per niente stimolanti. Però non disperiamo: tra qualche giorno avremo il secondo confronto tra i candidati e ci sarà da divertirsi, dato che ora ognuno ha più o meno preso le misure dell'altro.

mercoledì, febbraio 20, 2008

La famiglia felice del Mulino Bianco

Mi chiedo/no come finirà.
È già finita, malgrado quello che fu vaticinato un giorno.

Mulino Bianco

Due idee diverse di felicità si sono venute a scontrare. Su questi temi è difficile scendere a compromessi. Non so neanche se è giusto insistere nel mantenere un legame, che credo fortissimo malgrado tutto, quando so benissimo che dall'altro lato la costanza nell'impegno non è, come si usa dire, il punto di forza. Ed è proprio per la consapevolezza di questo che lei si "forza in un rapporto", limitandosi le vie di fuga.

Il VERO Mulino BiancoA me sembra assurdo, ma solo perché sono sicuro di me. A dire il vero una certa forma di costrizione voglio porla anch'io, ponendo una "etichetta" (cf. A.G.) su quello che stava succedendo.
Il desiderio borghese del possesso contro il sogno (piccolo) borghese della famiglia del Mulino Bianco.

sabato, febbraio 09, 2008

Turbolenze

Due volte ho veramente temuto per la mia vita. In entrambe le situazioni, mi sono sorpreso della mia reazione. A dire il vero, c'è anche una terza volta, ma lì piuttosto non temevo per la mia vita e quindi non conta.

La prima volta mi ero aricettato per la via, non chiedete il perché: chi lo sa, già lo sa. Avevo perso conoscenza, ero caduto, svenuto. Quando ho aperto gli occhi c'era una folla di gente appresso a me che mi facevano domande idiote, del tipo qual'era il mio nome (solo anni dopo ho letto in un libro che quella è la prima domanda che si fa per capire se uno ha piena coscienza di sé, per valutare eventuali danni cerebrali o giù di lì). Comunque l'infermiera del luogo, con tanto di camice bianco, mi tasta il polso e dice: "Tu non hai polso, non lo sento". Ci mancava solo quella! Nel frattempo mi si stava appannando di nuovo la vista, tutto stava prendendo un bel colore latteo ed io penso: "Ecco, ci siamo, non ho polso e vedo la luce: sono morto. Dite a Pg che non posso finire i test..." Queste sarebbero state le mie ultime parole. Un pensiero affettuoso rivolto al mio relatore.

Nei film gli eroi generalmente dicono frasi eroiche o che colpiscono per i forti sentimenti che esprimono. L'ultimo pensiero si rivolge alla mamma, alla donna della propria vita (nel caso non sia quella appena menzionata), a un ideale. Ho avuto modo di riflettere sul quanto poco implicavano le mie ultime parole di quel giorno. Certo, era importante e stavamo scrivendo un articolo, però veramente non avevo nulla di migliore da esprimere?
Oggi, scendendo sul Golfo di Napoli, l'aereo è stato preso da un forte vento. Sballottava a destra e sinistra, i passeggeri si tenevano stretti stretti alle loro poltrone, i bimbi piangevano. Ce la siamo vista proprio brutta, tant'è che all'inizio delle turbolenze, ho spento e sistemato il computer. La situazione è peggiorata tant'è che se non ho sentito nessuno recitare preghiere, sicuramente c'era chi lo faceva. Ho iniziato a tenermi ai braccioli pure io e a cercare di respirare lentamente. Immediatamente mi è balenato un pensiero, nella certezza che da lì a poco ci saremmo schiantati in mare. "Peccato che non ho fatto check in..." (mi riferisco al CVS, ossia alla salvaguardia degli archivi sui quali stavo lavorando).

Un'altra volta ho mancato il mio momento di pura poesia! Avrei potuto pensare: "Dite a M. che la amo" (la maggiorparte delle mie ex inizia per M., quindi non creerò gelosie); oppure avrei potuto esclamare il nome di un'altra donna. Qualcosa di più sentito insomma!
Siamo scivolati su Napoli, saltando e ballando, facendo il pelo alle antenne dei palazzi. Quando l'aereo si è posato sulla pista, con mia grande soddisfazione, nessuno ha applaudito.

mercoledì, febbraio 06, 2008

Fame atavica


Ieri abbiamo avuto una riunione di tutti i borsisti del dipartimento riguardo al tema della docenza. La questione è importante perché l'80% della budget della nostra università (come della maggioranza delle università spagnole) proviene dalla didattica e dalle quote che gli studenti versano. Offrire una buona qualità alla docenza per avere molti iscritti è la forma di poter permettersi più dottorandi e più mezzi per la ricerca (nelle università dove si dá spazio alla ricerca, come nel mio caso).
Siamo stati due ore ad affrontare numerose e interminabili discussioni con il capo dipartimento e i responsabili dei corsi di laurea, su diritti e doveri dei TA (parola moderna per definire gli antichi assistenti). Non sono rappresentante degli studenti di PhD per nulla: ero in prima linea mentre le lancette dell'orologio indicavano le tre passate. Era prevista una colazione, a base di panini, tartine e stuzzichini vari, data l'ora. Ma la colazione non arrivava ed è stato necessario l'intervento di una delle segretarie del dipartimento (la capo-segretaria di fatto) per scusarsi del fatto che la ditta di catering ci avrebbe fornito il cibo con ritardo.
Conclusasi la discussione, è stato il turno di un senior researcher appena arrivato di farci un breve seminario sulle tre colonne dell'università: Ricerca, Docenza e Servizi. Mentre parlava e mostrava le diapositive che aveva preparato, abbiamo tutti assistito ad una scena felliniana. Si è aperta la porta della sala e sono entrati inservienti che hanno iniziato ad accumulare vassoi di tartine e fritture sul tavolo della cattedra. Bibite e thermos di tè e caffè.
Gli sguardi di tutti gli astanti erano fissi su quel bendiddio, mentre, noncurante, quell'altro parlava. Gli inservienti si sono eclissati silenziosamente com'erano venuti, lasciandoci ipnotizzati e con la bava alla bocca.
Il quadro era surreale, da film, e nessuno ha osato commentare. Il tipo parlava, brillantemente, ed era previsto un ulteriore confronto sui corsi di laurea. Il cibo era lì, acatastato sui tavoli e sembrava guardarci, esprimendo la sua voglia di venire divorato.
Poi sono arrivate le cavallette...

Legna da ardere

Rieccomi qui, davanti allo stesso computer dove ieri notte mi sono trovato ad affrontare -ancora una volta- l'eterna disputa tra sentimento e razionalità.
Fa strano ritrovare le stesse finestre aperte, gli stessi programmi, sapendo che si è perso un pezzo della propria vita che solo qualche ora prima era là, tra le configurazioni magnetiche del disco rigido; ora più nulla.

Affinché una storia sia importante, travolgente, affinché sia vissuta con quel sentimento di eternità che accompagna solo i grandi amori, ha bisogno di due ingredienti principali, due poli contrapposti che magicamente uniscono.

Se c'è la fiamma della passione, lì, scottante, che ti dà forza e perseveranza, allora non si teme più nulla e si vive ogni istante come un frammento di assoluta felicità.
Dall'altro lato, ci vuole organizzazione. Le stelle devono essere favorevoli insomma. Vi sono tanti dettagli più o meno grandi che favoriscono un unione duratura. La vicinanza è uno di questi. I gusti simili, la lingua, eccetera. Tutti ingredienti ben noti alla letteratura e al senso comune.

Ora, gli ingredienti si possono ammassare, come quando si accumula una catasta di legna, ma se non c'è scintilla, quel fuoco non brucerà mai.

Sono di quelli che non badano al combustibile: brucio tutto quello che trovo. Ovviamente i miei sono "fuochi di paglia" o -piuttosto- grandi passioni che, se non vengono alimentate da piccoli frammenti di ragione e reciproca volontà, non hanno nessuna possibilità di bruciare in eterno. Bisogna saper sognare e bisogna farlo in due perché questa è la via difficile.
Dall'altro lato, immagino una coppia che ha deciso di stare bene assieme: sono seduti a contemplare, nel loro perfetto nido d'amore, una catasta di legna fredda lasciata sola nel camino e che non prenderà mai fuoco.