lunedì, settembre 28, 2009

Ipocrisia elvetica?


(Roman Polanski with Crystal Globe Image provided by Film Servis Festival Karlovy Vary
Roman Polanski è stato arrestato ieri a Zurigo, al suo arrivo all'aeroporto per ritirare un premio alla carriera.
Il mondo della cultura si è immediatamente sollevato, con proclami di solidarietà e indignazione. La mia prima reazione è stata simile, ma non esattamente per gli stessi motivi. I fatti contestati rimontano al 1977, quando Polanski ebbe rapporti con una minorenne dopo aver condiviso alcol e droga. Il discorso se la vittima fosse consenziente -sollevato dagli avvocati stessi del regista- non ha nessun peso, trattandosi di minorenne di 13 anni.
Quindi che vogliamo fare? Usare due pesi e due misure perché la persona in causa è un genio della cinematografia moderna o perché i fatti risalgono a 30 anni fa? Dimenticarsi delle ferite del passato è impossibile e certi eventi non cadono mai in prescrizione. O forse si? Se si assume che le persone cambiano con gli anni, non possiamo fare altro che sperare che il regista quasi ottantenne venga rilasciato il più presto possibile e possa continuare la sua vita nella massima serenità.

D'altra parte, questo caso rivela trame sotterranee. L'opportunismo degli svizzeri è sorprendente: il regista è da tempo cittadino francese e da tempo ricercato per comparire davanti ai giudici americani. La Svizzera inoltre ha molto da farsi perdonare e non è mai stata un esempio di chiarezza politica.
Opportunismo è la parola che mi viene in mente, opportunismo intelligentemente nascosto dietro la neutralità. Se i problemi fiscali con UBS non ci fossero, l'arresto potrebbe quasi apparire come un atto di buona volontà. Ma la pressione sugli USA è sospetta. Sì, la Svizzera è sospetta da quando le sue banche nascondono dietro a conti cifrati, segreti e tesori di mezza Europa.
Vuoi vedere che se Roman Polanski si fosse presentato sotto nome falso (o solo anagrammato), i doganieri avrebbero chiuso un occhio?

martedì, settembre 22, 2009

Sogni di grandezza

Tramonto su Salonicco

La Grecia è un delirio europeista. Sono a Salonicco per una conferenza (ICAPS09) e per la prima volta metto piede in Grecia. La prima impressione, scendendo dall'aereo, è quella di ritrovarmi a Napoli, però come se fosse Capodichino di 10 anni fa quando dovevi camminare sulla pista per raggiungere il terminal, persino l'afa è la stessa e sul fondo, per completare l'analogia, dietro la città, un monte dalla stessa sagoma del Somma-Vesuvio.
Colpisce il rumore delle macchine e il caos tutto meridionale. Sorprendono sopratutto i cartelli per trada: una strana sovrapposizione di alfabeto greco con caratteri latini. Sembra che, nella fretta di unirsi al resto del mondo Occidentale, abbiano fatto una transizione parziale. Le scritte in inglese rivelano il desiderio di adattarsi a un capitalismo che qui perde ogni senso. "Free way", "Beauty shop", "Helen's" e altri negozi dal nome straniero suonano come da noi, falsi, solo che qui il contrasto con i caratteri greci tradizionalmente usati rende questo scimmiottamento più evidente.
Patria di Alessandro e Filippo, adesso la Macedonia è impegnata non a diffondere la propria cultura in tutto il mondo conosciuto o a conquistare l'immenso impero persiano, ora la Macedonia è impegnata a dare il suo nome a università, aeroporti, ponti e scuole per ribadire un "copyright" apparentemente usurpato dalla Repubblica di Macedonia, poco distante e indipendente dall'affannata Grecia.
Nel nostro immenso albero-monolito di fronte alla baia, la conferenza stavolta è andata alla grande, offrendo incontri con vecchi amici e buena onda alle talk. Come che, la speculazione edilizia degli anni '70 è pur servita a qualcosa.