domenica, gennaio 29, 2006

Volvemos a Ustedes mañana

L'unica parola di spagnolo che nessuno straniero può evitare di imparare è mañana - domani (letteralmente "al mattino"). Ogniqualvolta è appena concepibilmente possibile, le cose da fare oggi vengono rimandate a mañana.

Così scriveva George Orwell, lamentando la cronica mancanza di puntualità degli spagnoli. Per un inglese, il fatto doveva apparire allucinante... Adesso i tempi sono cambiati e mi hanno assicurato che questo era vero per la "vecchia Spagna". E ci ho creduto, vedendo all'opera l'efficiente e laboriosa Catalogna. Un unico dubbio l'ho avuto a Pedreguer, quando un'amica lamentava la mancanza di affidabilità del fratello, che rimandava sempre tutto a mañana. Ci credevo, fino a quando non ho dovuto farmi attaccare il gas nell'appartamento nuovo.

Sono passati tutti! Dal lampista (la Madonna ci metta mano che sennò combino io qualcosa di cui potrei pentirmi), al tipo della caldaia (ancora non si è fatto vedere). Abbiamo visto almeno due addetti della compagnia del gas, abbiamo preso appuntamento per una settimana intera, ogni santa mattina.
"Mañana, torniamo mañana...", ci dicevano.
Beh, adesso il calvario sembra essersi concluso. Abbiamo acqua calda, gas e tutto. Forse il riscaldamento era di troppo, visto che i compagni di casa hanno trovato il modo di tenersi caldo senza bisogno dei termosifoni!

venerdì, gennaio 20, 2006

El traslado


Domani festeggio una settimana nella nuova casa.
Questo spiega tante cose, tra cui l'assenteismo reiterato e la testa tra le nuvole. Infatti solo da questo pomeriggio si inizia a vedere la fine delle scatole di Ikea che abitavano con noi da alcuni giorni. Si vede luce alle pareti e un frigorifero in cucina. Di conseguenza oggi primo pranzo cucinato in casa, rigidamente freddo data la mancanza dell'allacciamento del gas.
Superate quindi le tensioni pre-trasferimento e appianate tutte le divergenze. A tal proposito devo dire che sono molto fiero dei miei coinquilini che hanno saputo dialogare senza impuntarsi su nulla. Passata la mia paranoia (un grazie a chi mi è stato vicino), il mondo è tornato a sorridere e a riempiersi d'impegni. Le soddisfazioni non tardano ad arrivare: tra una casa spaziale in pieno Eixample e un articolo accettato a ICAPS, non ho proprio di che lamentarmi!

giovedì, gennaio 19, 2006

Chi siamo? Da dove veniamo? Si, ma perché?

Interrogarsi su come siamo fatti e su come ci vedono gli altri è pratica comune e lascia spesso il tempo che trova. Salvo che negli ultimi giorni (ahimé quanto intensi!) mi sono trovato davanti le mie verità... viste da altri.
Ammetto che non è un bello spettacolo.

Mi sono trovato ad affrontare il mio essere democristiano (come dice Anto), che è, vista da altri, un essere accondiscendente. Difficile affrontare di petto le situazioni quando temi di ferire gli altri; col risultato che te loro non si fanno problemi e devi anche dire grazie. Bisogna imparare a dire di no, come dice Pg in una sua grande metafora vegetale:

> ...ero troppo ottimista, come al solito.
> Una ragazza mi ha detto che sono
> troppo accondiscendente: derivera' dallo stesso lato del carattere?

No, secondo me no.
L'accondiscendenza deriva dal "voler far piacere" (o "non voler causare dispiacere"). Conosco il problema, soprattutto quando si tratta di dire di no e' dura - ma tocca imparare.
L'ottimismo e' altra (e positiva) cosa.
Ovviamente se non portata al paradosso: se dici che il cetriolo che hai nel sedere tutto sommato non e' male perche' la verdura fa bene, poi la gente se ne approfitta...

mercoledì, gennaio 11, 2006

2

Di ritorno a Barcelona, dopo tante feste e 3kg sulla pancia.
Per smaltire un primo giorno di lavoro alquanto intenso, stamattina mi offro un divertissement con la traduzione della prima pagina del libro iniziato in metro stamattina e che mi sembra molto grazioso.

Erano 7 minuti dopo la mezzanotte. Il cane giaceva sull'erba, al centro del prato di fronte alla casa della Sig.a Tosati. Teneva gli occhi chiusi e sembrava che stesse correndo sul fianco, nel modo che hanno i cani di correre quando sognano di inseguire un gatto. Il cane, però, non stava né correndo né dormendo. Il cane era morto. C'era un forcone che fuoriusciva dal cane. Le punte del forcone dovevano essere ben conficcate nel terreno perché esso se ne stava ritto, senza cascare. Ho stabilito quindi che il cane era stato probabilmente ucciso con la forca poiché non vedevo altre ferite e non penso nessuno vada a conficcare forche nei cani dopo che siano morti per una qualche altra ragione, come un cancro ad esempio oppure un incidente stradale. Però non ne sono molto sicuro.
Oltrepassai il cancello della Sig.a Tosati, richiudendolo dietro di me. Attraversai il prato e mi inginocchiai vicino al cane. Posai le mie mani sul suo muso. Era ancora caldo.
Il cane si chiamava Wellington. Apparteneva alla Sig.a Tosati la quale era nostra amica e viveva dall'altro lato della strada, due case sulla destra.
Wellington era un barboncino. Però non uno di quei barboncini con strane acconciature, ma un grosso cane barbone. Aveva il pelo riccioluto e nero, ma se gli andavate vicino, potevate notare che la pelle sotto il pelo era di un giallo molto pallido, come un pollo.
Accarezzai Wellington e mi domandai chi potesse averlo ucciso, e perché.
Mark Haddon, The curious incident of the dog at night-time

giovedì, gennaio 05, 2006

7263 TN 84

Ieri l'altro ho dato l'addio a una vecchia compagna di avventure. Un mio amico/nemico (non so più come definire il non-rapporto che ci lega) diceva: "Non bisogna affezionarsi agli oggetti".
Vero.
Giusto.
Ma quando questi oggetti sono stati presenti per più di 10 anni nella tua vita tanto da venire personalizzati, insultati o incoraggiati secondo i casi, essi sono come testimoni muti del tuo tempo che passa. Come comportarsi? Semplicemente come si è sempre fatto: prestandogli una scintilla della tua personalità.
Così ho salutato la mia vecchia amica a malincuore: aveva ancora molte cose da dire e da fare, era ancora piena di forze. I segni della sua stanchezza erano davvero pochi. L'ho salutata come si saluta una donna; un bacio sfiorato e un occhiolino, per dar l'impressione che quella separazione fosse di breve durata.

Insieme sotto la neve a Trento, gennaio 2005Insieme sotto la neve.

lunedì, gennaio 02, 2006

Questo Capodanno non tenevo proprio genio.
L'espressione napoletana è difficilmente traducibile in altre lingue, ma rende bene l'idea. Ho passato il pomeriggio del 31 al telefono, cercando di negoziare la fuga da una festa nella quale sembrava che mi avessero incastrato. Alla fine ho ripiegato sulla situazione nella quale mi sentivo più a mio agio.
Il fatto non è che mi sono di colpo tramutato in orso, piuttosto mi sono reso conto della convenzionalità dietro ai festeggiamenti di Capodanno. Quella sera è d'obbligo uscire e divertirsi fino a mezzanotte (almeno).
Bellissimo! almeno per le persone che hanno difficoltà nell'avere uno straccio di vita sociale. Nel mio caso ero rientrato il 30 sera (o il 31 mattina) strafatto, sotto la pioggia e a un orario da primo dell'anno, appunto. La voglia di ripetere lo stesso scenario la sera dopo era veramente al minimo. Se pensi poi che l'unica molla che mi avrebbe fatto reagire sarebbe stato di passare l'ultima notte dell'anno con gli amici stretti e che gli amici stretti si erano sparpagliati per le 10.000 feste che animavano la notte partenopea.
Vabbé, non voglio fare il rompipalle già da mo, tanto più che il genio sta tornando piano piano. Buon anno a tutti! Tante belle cose e saluti in famiglia, mi raccomando!